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Seicentomila bambini con balbuzie nel 1975, ora lo stesso numero per dislessia

Seicentomila bambini con balbuzie nel 1975, ora lo stesso numero per dislessia

Castelbianco (IdO): Si guarda alla prestazione e non alla persona
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Era il 1984 quando l’Istituto di Ortofonologia (IdO) dedicava uno dei suoi primi convegni alla balbuzie per indagarne gli aspetti teorici e terapeutici. “Nel 1975 si era calcolato che ci fossero in Italia circa seicentomila balbuzienti, era un problema fortissimo tra bambini e ragazzi. Poi, con l’andare del tempo, queste percentuali si sono sempre più ridotte e la balbuzie (per quanto riguarda il numero dei casi) è stata sostituita dai disturbi di apprendimento. Oggi si conta, infatti, che siano seicentomila i bambini e i ragazzi con dislessia, disgrafia o discalculia. Seicentomila, proprio tanti quanti erano i balbuzienti”. Parte da qui Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’IdO, per fare un excursus storico su cinquanta anni di terapia con l’età evolutiva.

“La balbuzie era un problema considerato principalmente maschile tanto che il rapporto tra maschi e femmine era di 7 a 1- ricorda Castelbianco- Le donne si lasciavano parlare, non venivano ascoltate e non venivano prese in considerazione. A tavola il papà o il nonno davano la parola al figlio maggiore che aveva la responsabilità di dover comunicare qualcosa di importante o di sensato. Il problema della balbuzie quindi aveva una causa scatenante sociale, e col tempo, come dicevamo, è quasi scomparso”. Castelbianco mette in evidenza come all’epoca quello su cui si puntava era il raggiungimento del risultato, nel caso della balbuzie: smettere di balbettare “e per farlo c’erano 124 metodi”.

In questi cinquanta anni “l’ambiente ha sempre avuto un grosso peso su chi si occupa di riabilitazione”, spiega lo psicoterapeuta. “Non si andavano ad indagare le cause- sottolinea Castelbianco- ma ci si limitava a una diagnosi descrittiva che consentiva di limitare il problema a un sintomo, ed è su quel sintomo che si interveniva”.

I bisogni dei bambini sono sempre stati il filo conduttore dell’Istituto. “La frase ‘il miglioramento di una singola prestazione non dà un quadro adeguato della maturazione globale del bambino, né lo aiuta’,  slogan del convegno per i 50 anni dell’Istituto- ricorda il direttore dell’Ido- racchiude bene il percorso di questi cinquanta anni”. Oggi non si parla più di balbuzie ma di dislessia. “Non si valuta più la prestazione in base a quello che si dice, ma a quello che si fa. Un rifiuto della scuola, ad esempio, viene tradotto erroneamente in disturbi di attenzione e concentrazione. Ma la causa del problema può essere diversa e lo si capisce nel momento in cui si dà ai ragazzi qualcosa di più interessante da fare. A quel punto riescono a stare ore e ore attenti e concentrati”. In sostanza Castelbianco ci tiene a sottolineare come “il bambino debba avere il tempo per fare i suoi passi, per maturare. Perché oggi come 50 anni fa per la ricerca della prestazione e il raggiungimento dell’obiettivo si sta perdendo la possibilità di dare il tempo di evolvere.

Dobbiamo rendercene conto- dice- e rivedere alcuni canoni sugli apprendimenti. Noi esperti- sottolinea- dobbiamo dare più spazio alla pedagogia, stiamo invadendo un mondo sano in un modo inappropriato”. L’aspetto su cui stare attenti è “scorporare dalla diagnosi del bambino ciò che non compete al bambino stesso, perché il bambino non può difendersi”, aggiunge Magda Di Renzo, responsabile servizio Terapie IdO.

“Bisogna ricordare che un conto è il disturbo dell’apprendimento isolato, un altro è in comorbilità. In quest’ultimo caso occorre affrontare il problema maggiore, non il minore, e non la sintomatologia”, conclude Castelbianco.